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TEATRO DEL LEMMING

EDIPO TRAGEDIA DEI SENSI PER UNO SPETTATORE

dal 3 al 12 febbraio 2023 - Teatro Studio | Rovgio (RO)


In un'epoca di pensieri deboli e di fragili idee sul teatro, questo lavoro implicita la necessità di un ritorno al senso originario e profondo dell'esperienza teatrale.
Il teatro, al contrario di quanto comunemente si pensa e si pratica, non nasce come mera rappresentazione ma è, prima di tutto, accadimento: l'evento, cioé, condiviso da almeno un attore ed uno spettatore, in uno spazio e in un tempo comune.
Se per i greci Dioniso era il dio del teatro, lo era per la sua capacità di instaurare, attraverso il teatro, il regno della con-fusione fra realtà e illusione. Da qui il noto paradosso che vede la tragedia operare «un inganno per cui chi inganna è più giusto di chi non inganna e chi è ingannato è più sapiente di chi non è ingannato» (Gorgia, B 23 DK).
Ma oggi, oramai, il gioco rappresentativo, esautorato di ogni stupore, ci appare come una mera finzione che non "inganna" più nessuno. Seduti comodamente sulle nostre poltrone, abbiamo imparato ad addomesticare ogni immaginazione. Questa distanza, questa assoluta passività in cui ci troviamo relegati quando andiamo a teatro, mima una più temibile passività che è quella delle nostre vite. Ha scritto recentemente su "La Repubblica" Umberto Galimberti: «Istituendoci come spettatori e non come partecipi di un'esperienza o attori di un evento, i media ci consegnano quei messaggi che, per diversi che siano gli scopi a cui tendono, veicolano eventi che hanno in comune il fatto che non vi prendiamo parte, ma ne consumiamo soltanto le immagini». 

In un'epoca di pensieri deboli e di fragili idee sul teatro, questo lavoro implicita la necessità di un ritorno al senso originario e profondo dell'esperienza teatrale.
Il teatro, al contrario di quanto comunemente si pensa e si pratica, non nasce come mera rappresentazione ma è, prima di tutto, accadimento: l'evento, cioé, condiviso da almeno un attore ed uno spettatore, in uno spazio e in un tempo comune.
Se per i greci Dioniso era il dio del teatro, lo era per la sua capacità di instaurare, attraverso il teatro, il regno della con-fusione fra realtà e illusione. Da qui il noto paradosso che vede la tragedia operare «un inganno per cui chi inganna è più giusto di chi non inganna e chi è ingannato è più sapiente di chi non è ingannato» (Gorgia, B 23 DK).
Ma oggi, oramai, il gioco rappresentativo, esautorato di ogni stupore, ci appare come una mera finzione che non "inganna" più nessuno. Seduti comodamente sulle nostre poltrone, abbiamo imparato ad addomesticare ogni immaginazione. Questa distanza, questa assoluta passività in cui ci troviamo relegati quando andiamo a teatro, mima una più temibile passività che è quella delle nostre vite. Ha scritto recentemente su "La Repubblica" Umberto Galimberti: «Istituendoci come spettatori e non come partecipi di un'esperienza o attori di un evento, i media ci consegnano quei messaggi che, per diversi che siano gli scopi a cui tendono, veicolano eventi che hanno in comune il fatto che non vi prendiamo parte, ma ne consumiamo soltanto le immagini». 

A questa condizione il teatro può, e per noi deve, contrapporre il segno della sua differenza, della sua specificità che è quella, appunto, della condivisione di un'esperienza. Nel viaggio che proponiamo allo spettatore in questo lavoro, sono comprese tutte le tappe e i temi sottesi al mito. Edipo che ricerca la sua vera identità e che poi, come ognuno di noi, si scopre diverso da quello che crede. Edipo che prova ad affermare la propria libertà, ma ogni suo gesto lo danna, e si scopre nelle mani del destino, del caso, delle necessità. Edipo e l'incesto: il dissidio verso gli ambivalenti desideri primari.
Nel gioco drammaturgico che noi operiamo sarà però lo spettatore ad assumere il ruolo del protagonista. «Il rapporto del filosofo con l'essere» ha detto Maurice Merlau-Ponty nella lezione inaugurale al Collége de France nel 1953 «non è il rapporto frontale che ha lo spettatore con lo spettacolo, ma è una sorta di complicità, una relazione obliqua e clandestina. [...] Se la filosofia è scoprire il senso primo dell'essere, non si filosofa, dunque, abbandonando la condizione umana: è necessario invece immergervisi. Il sapere assoluto del filosofo è la percezione».

E' così il CORPO. Non soltanto il corpo esibito, frustrato, dilaniato o giocoso di un attore, e cioè di un altro. Qui è il mio stesso corpo ad entrare in gioco. La crudeltà, (povero innominabile Artaud e - ahinoi ! - troppo vanamente nominato) è spinta qui, finalmente, in direzione dello spettatore.
Al contrario delle protesi tecnologiche sempre più esibite sull'altare di un'epoca disumanizzata, qui è il semplice nudo e organico incontro dei corpi - sta qui lo scandalo ? - a sancire la verità irriducibile della persona umana.
Edipo è un archetipo e ogni archetipo è un Universale Singolare. E' cioè, qualcosa più grande di noi, che ci precede e che continuerà ad esistere anche dopo di noi, ma che allo stesso tempo si dà per ognuno in maniera irriducibilmente singolare. Ogni soggettività che incontra lo spettacolo sancisce così anche, e qui davvero, l'irrepetibilità dell'evento.
Lo spettatore, in questo lavoro, è personalmente chiamato a rivivere l'esperienza di Edipo, cosicchè le lacerazioni del protagonista diventano le sue. Come Edipo egli è il solo a viverle ed è cieco di fronte ad esse in un viaggio che lo vede claudicare, appena sostenuto da vaghe presenze che evocano e provocano continuamente il suo immaginario.
Oscar Wilde diceva che il teatro è uno specchio tenuto davanti alla natura. Qui, come novelli Alice, gli spettatori sono finalmente invitati ad attraversarlo.