LA CITTA' CHIUSA
INTERPRETI
Thierry Parmentier, Martino Ferrari, Fiorella Tommasini, Antonia Bertagnon, Roberto Domeneghetti, Nadia Poletti, Simonetta Rovere
COLLABORAZIONE TECNICA
Francesco Piva e Angela Tosatto
SCENOGRAFIA
Martino Ferrari
MUSICA E REGIA
Massimo Munaro
PRIMA RAPPRESENTAZIONE:
Rovigo, Teatro Don Bosco, 13 ottobre 1990
Quando un anno fa cominciammo a lavorare attorno al progetto che avrebbe dato vita a questo spettacolo, decidemmo che rispetto ai precedenti questo avrebbe cercato di descrivere e testimoniare la condizione sociale contemporanea. Si trattava di una scelta non facile naturalmente, oltre che contraria all'andamento del teatro di questi anni votato semmai al disimpegno e apparentemente incapace di parlare dell'oggi. Per noi poi le cose si complicavano: i nostri strumenti formali erano quelli della poesia, della narrazione per immagini, delle suggestioni evocative, ad esempio, di una musica in rapporto ad un corpo o ad un oggetto in movimento. Niente a che vedere insomma con gli stilemi del Teatro Politico, con cui non avevamo e non abbiamo niente in comune.
Pensando al presente e alla condizione precaria in cui versa il mondo, a dieci anni dalla fine di questo secondo millennio, a noi è venuto immediato pensare ad una Apocalisse. Proprio nel momento in cui di fronte al fallimento dei regimi dell'Est si vanno celebrando con arrogante opulenza i fasti del benessere dell'Occidente, per contrasto può nascere istintivo il desiderio di raccontarne la fine.
Partiti dall'Apocalisse di Giovanni, per analogia abbiamo successivamente pensato ad Artaud ed al suo splendido saggio Il teatro e la peste. Tentando una nominazione per metafore potremmo dire che oggi il cancro ci divora nel silenzio delle nostre case, si nasconde dietro la maschera della democrazia la cui libertà apparente è basata sull'assoluta mercificazione e sull'azzeramento di ogni tensione. La peste, in tutta la sua forza dirompente ed evocativa, rappresenterebbe in questo senso la via d'accesso attraverso la quale la malattia si rivela.
E' a questo punto, e sempre per analogia, che siamo giunti a Camus e al suo romanzo La Peste. Nessuno di noi aveva ancora letto questo libro, anche se per la verità un po' tutti noi eravamo cresciuti leggendo e amando gli autori dell'esistenzialismo francese. A questi autore, anzi, la cui scomparsa dal dibattito culturale odierno appare come una specie di lapsus, una preoccupante rimozione, siamo invece convinti si debba tornare per tentare di far ripartire da qui una riflessione sull'oggi e sulla stessa nozione di impegno.
Nato come libera riscrittura teatrale del romanzo, questo spettacolo si è poi ulteriormente trasformato durante la lavorazione in una personale rivisitazione dell'intera opera letteraria di Camus. Albert Camus non ha mai scritto niente che portasse il titolo La città chiusa, ma crediamo ugualmente sia possibile rintracciare all'interno di questo nostro lavoro il senso profondo della sua poetica.
Nello spettacolo coesistono testi di provenienza diversa: oltre che al romanzo La Peste naturalmente (di cui qui si conserva la struttura narrativa), sono presenti testi tratti da Il Rovescio e il Diritto (che è il suo primo saggio giovanile), dal dramma Caligola, dal saggio filosofico Il mito di Sisifo.
Questa commistione di testi era in un certo senso autorizzata dallo stesso Camus. "Troppo spesso" egli scrive ne Il Mito di Sisifo "si considera il lavoro di un creatore come una serie di prove isolate. la creazione unica di un uomo si rafforza nei suoi successivi e molteplici aspetti, che sono le opere. Le une integrano le altre, le correggono e le riafferrano, le contraddicono anche."
Non era possibile per noi dunque, una volta accostatici al suo romanzo e iniziando questo lavoro, sottrarci a questa visione unitaria della sua opera.