il momento politico per eccellenza è quell'atto capace di trasformarci da spettatori in attori di un evento
il teatro deve configurarsi per lo spettatore come un‘esperienza che prima che cognitiva sia profondamente emotiva e perturbante;
praticare un teatro che non sia solo rappresentazione ma anche esperienza di un evento: io non assisto a qualcosa ma la vivo;
il teatro deve rivolgersi, nell’era mediatica di oggi, non ad una massa anonima (il pubblico) ma a ciascun partecipante (lo spettatore);
ridefinire i ruoli attore/spettatore, stabilendo nella loro relazione diretta il fuoco dell’esperienza;
fare incontrare le soggettività di ciascuno con i modelli universali del mito;
rimettere in gioco oltre al corpo dell’attore anche il corpo dello spettatore. La dimensione diviene necessariamente sensoriale: tutti i cinque sensi devono entrare in sinestesia a dar luogo ad una drammaturgia dei sensi;
lo spettatore viene sganciato dal voyeurismo a cui l’ha consegnato il teatro ottocentesco, senza per questo essere irretito da coinvolgimenti paratelevisivi: il teatro deve tornare alla sua origine rituale e sacra;
pensare alla pratica dell’attore come ad un dono d’amore verso lo spettatore, con tutta la messa in gioco, il denudamento reciproco ed il rischio strutturale che questa offerta comporta;
ridefinire lo spazio: lo spettacolo non è più davanti a me, ma esso mi circonda, mi sovrasta, mi abita, ed io lo vivo come un mondo dentro cui sono precipitato;
ridefinire il tempo: ha inizio per lo spettatore dal momento in cui si prenota o si reca a teatro e si dilata dopo, nella inevitabile lunga elaborazione che segue.